Nel febbraio 2002 nuova opera di poesia in siciliano Crucchèri (Edizione Sciascia) pagg. 118,

con saggio introduttivo di Attilio Scuderi, il quale a un certo punto scrive: “(…) Al ricupero della memoria personale si affianca qui una vera variazione filologica sul tema lessicale. Pare quasi che il poeta metta in versi la voce cruccheri del vocabolario siciliano, con le varianti locali e gli spostamenti d’area geografica cui corrispondono mutamenti di contesto e significato del lessema stesso. Ma è solo alla fine della lirica che i ganci-crucchèri acquisiscono un nuovo valore aggiunto di senso e manifestano la loro natura di simbolo cosciente ed emblema dell’atto poetico: ‘cruccheri sunu i paggini di n libbru / ccu i paroli appisi com’aceddi / sparati, / ca l’ali cci arristaru ppi cumparsa, / pezz’i carni nchiuvata ca priccula / nchiostru tipugraficu (…)’. I ganci-crucchèri agiscono quindi da metafora guida dell’intera raccolta, perché la scrittura stessa è in fondo un gancio, un’esca tirata alla memoria e alla realtà, un modo per inchiodare entrambe al desiderio infinito di un poeta che ‘non sarba ma disìa’, e che è sempre intento a edificare ponti o ‘faddacchi pp’arrivari e disidderi / appisi e crocca d’autri crucchèri’.(…)”


Da Gazzetta di Parma del 4 gennaio 2003: “(…) Il vocabolario a cui attinge Mario Grasso riporta a uno spazio geografico centripeto. Il suo essere siciliano, infatti, non rischia mai di schierarsi: né a Bufalino, né a Sciascia, né a Consolo è apparentabile Mario Grasso. La morale: risucchia piuttosto un aspetto beffardo e irriverente che nella sua scrittura poliforme lo avvicina a quel grande architetto del linguaggio che è stato Stefano D’Arrigo. Quella di Grasso è una poesia concitata, intermittente, fuori dal coro e quindi isolata. E l’uso del dialetto atavico ingrommato di grecismi e di noccioli popolari si trasforma in una ricostruzione sanguigna di umori lavici. Come una colata fiammante rappresa in un nerume roccioso, il dialetto della zona dei Ciclopi (Grasso è nato ad Acireale) trova compimento nello scavo allegorico che inizia proprio dal titolo del volume. I ‘cruccheri’ ovvero i ganci usati nell’antico mondo contadino, agiscono da metafora che guida l’intera raccolta. Perché la scrittura stessa si fa cappio. Ed è proprio attraverso la visione di una ‘tarantola nera d’acciaio’ che il gancio della memoria inchioda il paesaggio dall’astratto al concreto, in quel punto invisibile dove la parola diventa magia (…)”. Davide Barilli


Bibliografia della critica per Crucchèri

  • Attilio Scuderi, Saggio introduttivo – Cruccheri, Caltanissetta 2002.
  • Viviana Mazza, Il siciliano lingua da poeti, Giornale di Sicilia, 12/06/2002.
  • Giovanni Pasqualino, Crucchèri di Mario Grasso, Giornale dell’Etna, 29/06/2002.
  • Franco Loi, Grandi sapori del dialetto di Sicilia, Il Sole 24 Ore, 07/04/2002.
  • Davide Barilli, Canto antico, voce arcana, Gazzetta di Parma, 04/01/2003.
  • Carmelo Depetro, Crucchèri di M. Grasso, Pagine dal Sud, anno XIX, n°1, aprile 2003.