Nel giugno 1994 viene pubblicato il saggio sulla paramiologia siciliana intitolato “Lingua delle madri” pagg. 160). Una mirata selezione di proverbi, analizzati e commentati da Mario Grasso.


Da Arrivederci a Sortino, n°3, settembre 1988: “(…) In una accezione metaforica, la lingua delle madri è quella che non tradisce, che segue un percorso di verità, un itinerario di saggezza. Era una lingua semplice perché la semplicità è compagna della verità. Le nostre madri parlavano un linguaggio ora passato di moda; autentico, genuino, non inficiato dalla preoccupazione di apparire. Era, la loro una lingua che sgorgava dal cuore e al cuore si rivolgeva per trasmettere emozioni e sentimenti non inquinti dai mass media e non inquinanti. Le madri ignoravano le nevrosi di massa, ignoravano i venditori di parole e di male parole. Sgarbi non era ancora nato e, qualora lo fosse stato, sarebbe passato per un giovanotto maleducato e saccente. E i grandi scrittori non erano ancora un prodotto del marketing delle Case editrici: grandi valichi con molte foglie, molta ombra attorno ma frutti piccoli, neri e senza polpa. Il contesto in cui vivevano seguiva i ritmi della natura e non l’andamento dei Bot e le quotazioni della lira. Grasso ben avrebbe potuto intitolare il suo libro Lingua dei padri, ma ha scelto l’omaggio alla madre, forse perché il Sud ha saputo proiettare, nelle sue tradizioni e nelle sue mitologie, fino ai tempi presenti, una propria visione del mondo nella quale la madre sta per dirla con Viviani ‘n capo o cape e casa: è un cappiello’ o forse perché la madre è colei che non inganna, di cui ci si può fidare perché è la voce dell’amore e della verità. E qui non possiamo fare a meno di rilevare che più l’uomo si evolve più la verità si nasconde, più cresce l’erudizione, più la verità viene seppellita sotto cumuli di parole, manipolata ed emarginata per far posto alla convenienza e all’ipocrisia. I nostri sono tempi di grande erudizione e di piccole verità. In questo senso Lingua delle madri è un libro contro corrente e provocatorio (…)”. Giuseppe Contarino